Questa lettera mi afflisse sensibilmente. La malattia di milord Danby differiva la di lui partenza, mi obbligava nascondermi, e mi toglieva la libertà di ritornare in casa di mistriss Mabel, ove la necessità di diminuire le mie spese mi faceva bramare di ritirarmi. Pagava due ghinee la settimana a mistriss Tomkins, e doveva dargliele anticipate; fra Lidy ed io non ne possedevamo che venti. Non poteva sperare un pronto soccorso da miledy Rutland; nulladimeno le scrissi: ma di che poteva io assicurarmi, ed in qual tempo poteva io lusingarmi di ricevere una risposta? Per colmo di una fatalità inconcepibile, Lidy, la mia cara Lidy, che poneva tutte le sue attenzioni a consolarmi, cadde ella stessa in una specie di languidezza, ella perdette il sonno, prese dell'avversione per ogni sorta di cibo, e si abbandonò ad una vera melancolia che la consumava; pallida, abbattuta, volgeva verso di me gli occhi suoi bagnati di pianto, giungeva le mani, le alzava al cielo, esclamando:
Ohimè! Che farà ella? Che divenirà ella? In quale stato la lascio?
Le di lei lacrime, la sua inquietudine, il peggioramento visibile della sua salute mi riempivano di terrore. Io mi affrettai di far venire in di lei soccorso tutte quelle persone che coll'arte loro, o colle loro attenzioni, potevano sollevarla; l'estrema sua debolezza l'obbligò al letto; io l'assisteva con quel tenero trasporto ch'è proprio dell'amicizia; ella si mostrava sensibile alle mie carezze, si prestava senza ripugnanza a tutto quello che da lei esigevano, ma niente la rianimava.
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