Passarono tre settimane senza ch'io vedessi risposta alcuna; ciò m'inquietava infinitamente; non feci parte al Conte della lettera ch'io aveva scritta, temendo ch'egli la condannasse, ma ancora più perché, divenuto debole piucchemai, temeva di affaticarlo; i soccorsi dell'arte lo tormentavano senza operare in lui cambiamento alcuno. Niente può agire, mi dicevano, contro un'immaginazione sconcertata in un uomo estenuato di forze. Io fremeva alla sola idea di perderlo, gli nascondeva i miei pianti ed i miei spaventi, lo serviva, e mai lo lasciava. Il mio cuore si frangeva a tutti i momenti, e per colmo della più crudele disperazione, non isperava più nuove d'Inghilterra.
Un giorno, quando meno me lo aspettava, venne ad annunziarmi la mia cameriera che un forastiere desiderava vedermi; fatti aveva questa donna tutti i sforzi per persuaderlo che non era possibile di parlarmi; insisteva l'incognito con ardore, aggiungendo che l'affare che lo conduceva, era interessante per me, e che veniva per questo espressamente da Londra... Il nome di Londra mi risvegliò in seno un'ardente curiosità; lo feci entrare; qual fu la mia sorpresa veggendo presentarsi a me sir Charles medesimo; mandai un grido di gioia, egli mi venne incontro colle braccia aperte, mi strinse teneramente al seno, e vedendomi agitata e confusa:
Ah! cognata mia,
diss'egli "in quale stato vi trovo! Che mai mi annunzia il vostro abbattimento! Grande Iddio, sarei arrivato troppo tardi? Parlate, Miledy, parlate: ov'è il mio d'Anglesey? vive ancor mio fratello?
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