Consegnata ho la mia lettera al cappellano, senza trattenermi seco in ragionamenti, e corsi lieta e contenta di me medesima a satisfare il cuore, che bisogno aveva di consolazione colla vista dell'amabile amica. Veggendomi ella entrare nel suo appartamento con una ilarità insolita, mi strinse teneramente fra le sue braccia, e dissemi che non le rimaneva, per essere pienamente contenta, che veder terminato fra noi l'affar della successione ai beni del nostro comune amico defunto, in esecuzione del di lui testamento; soggiunse che quest'oggetto l'occupava intieramente, ch'ella aveva già pensato alla scelta delle persone che potevano intraprendere una spezie di divisione che non poteva trovare dal canto nostro veruna difficoltà. Veggendo che la mia resistenza non faceva che inquietarla, cedetti finalmente al desio ch'ella aveva di divider meco i doni del testatore, a condizione però che i frutti unicamente dell'eredità sarebbero fra noi comuni; ma l'eredità resterebbe indivisa, e noi resteremmo inseparabili sino alla fine de' giorni nostri.
Mi abbracciò ancor più strettamente "Cara amica," gridando "questo era il progetto che aveva formato io stessa; si aumenta il piacer mio veggendomi da voi prevenuta. Tutto è finito, tutto è da questo momento terminato e concluso."
Sono ormai quattr'anni, madama, che questa unione, cominciata per amicizia e continuata e consolidata per contratto, non fa che aumentare di giorno in giorno la nostra comune felicità, ed evvi luogo a sperare che nulla potrà cambiarla o diminuirla, costanti essendo l'una e l'altra ad evitare ogni altro legame, contente estremamente del nostro.
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