Et però disse Iacomo Sannazaro:
L'Invidia, Figliuol mio, se stessa maceraE si dilegna come agnel per frascino,
Che non gli vale ombra di cerro, ò d'acera.
DELL'INVIDIA.
PALLIDO hà il volto, il corpo magro e asciutto;
Gli occhi son bicechi, e rugginoso il dente.
Il petto arde d'amaro fele e brutto,
Velen colma la lingua, nè mai sentePiacer alcun se non dell'altrui lutto.
All'hor ride l'invidia, che altrimenteSi mostra ogn'hor'adolorata, e mesta,
E sempre all'altrui mal vigile e desta.
INVIDIA.
DONNA, vecchia, mal vestita, del color della ruggine; si tenga una mano alla bocca, nel modo, che sogliono le donne sfaccendate in bassa fortuna, guardi con occhio torto in disparte, haverà appresso un Cane magro, il quale come da molti effetti si vede, è animale invidiosissimo, & tutto il bene de gli altri vorrebbe in sé solo, anzi racconta Plinio nel 25. lib. al cap. 8. che, sentendosi il Cane morso da qualche Serpe, per non restar offeso, mangia una certa herba insegnatagli dalla natura, & per invidia, nel prenderla, guarda di non esser veduto da gli huomini. È mal vestita, perche questo vitio hà luogo particolarmente frà gli huomini bassi, & con la plebe. La mano alla bocca è per segno ch'ella non nuoce ad altrui, ma à se stessa, &, che nasce in gran parte dall'otio.
INVIDIA.
UN veleno è l'Invidia, che divoraLe midolle, & il sangue tutto sugge,
Onde l'Invido n'hà debita pena,
Perché mentre l'altrui sorte l'accora,
Sospira, freme e come Leon rugge,
Mostrando ch'hà la misera alma pienaD'odio crudel che'l mena
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