Non perche stimi (dico) la sua dottrina irrefragabile, ò perche abbi giurato nelle sue parole, ò che sia divenuto suo mancipio (imposture del Signor Galileo à gli Aristotelici), ho preso il presente assunto; se bene ad essa dottrina io sia grandemente obligato per haverne conseguito honore, commodi & elettione alle più famose catedre Filosofiche, che per rispetti maggiori (di servir immediate à quest'alma città di Venetia, à questa Idea delle Christiane Republiche, à questa gran patria del Mondo, e Pritaneo inesausto di Virtuosi) hò ragionevolmente rifiutate. Molto meno ho avuto per scopo l'oppressione di queste nove, ò rinovate positioni, se non in quanto l'hò ritrovate lontane dal vero. Anzi al primo loro apparire, io stimatele venute dal Cielo, non sonniate, ma viste; famelico di cibo celeste, me gli avventai per cibarne a satietà la mente; ma pratticatele, l'ho trovate non visioni, ma illusioni, non verità indubitate del Cielo, ma fantasie fallaci de gli huomini; di si lieve & inhabil sostanzaall'intellettual nutrimento, che lasciano doppò pasto assai più fame che pria. Non intendo però in conto alcuno, e me ne protesto avanti al Cospetto di Dio e de gli huomini, di pregiudicar pur in un punto alla riputatione del Signor Galileo; ne alla fama che grande ha acquistata nelle Matematiche, ne all'altre sue inclite qualità personali. Et se tal hora nel progresso di miei discorsi contro di lui apparirà segno, ò realtà di mordacità, ò d'improvero (il che sarà più rare volte ch'io possa), ciò diviene dalla naturalezza della controversia; dall'officio di litigante, dal ributtar i colpi in modo che feriscano anco (se sia possibile) chi gli vibra.
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