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      Or se il distruggersi (che è l'ultimo de' mali, non che di disordine) non repugna alla natura, non è cagione di confusione inutile ne di disordine immoderato, onde tante revolutioni irreparabili tribuite voi al moto puro locale per agitarsi, ò commoversi i corpi mossi? non essendo egli in niun modo, quanto è per se stesso, distruggitore delle cose.
      4. Alla quarta (che è l'opinion di Platone), non dico altro per hora, perche risponderò alla vostra dimostratione, con la quale credete confirmar questa positione, & avrò in un tempo sodisfatto all'uno, & all'altro.
      5. Vengo dunque alla quinta. E dico, prima, che voi supponete, la quiete esser una tardità infinita, constituita di gradi infiniti positivi, onde da altri di velocità, parimente infiniti, quasi con resistenza dei predetti, habbiano da vincersi, e cosi prodursi velocità sempre maggiore. Le quali cose sono falsissime: però che la quiete è una pura privatione; la tardità, comunque si sia, anco per caso infinita, è passione disgiunta del moto, il cui opposito, & altro disgiunto, è la velocità, sì che ogni moto è veloce over tardo; di modo che attribuendo la tardità alla quiete, sarebbe come chi dicesse, il vedere esser proprio di chi è cieco. Or questa tal privatione per ogni atto positivo si toglie, ò distrugge, come per ogni lume si levano le tenebre, perche, non havendo ella ne attività ne entità reale, non hà alcuna resistenza, di modo tale, che ogni grado di moto l'hà estinta, e per conseguente à questo fine non accade produr velocità sempre maggiore.


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Esercitazioni filosofiche
di Antonio Rocco
Appresso Francesco Baba Venezia
1633 pagine 230

   





Platone Vengo