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      Di modo tale che, per salvare, ò ordinare un effetto di alcune parti, che nulla importa, volgete sossopra il Mondo. Che voi stimiate, la terra esser un de corpi celesti, adornata &c., staremo a sentire.
     
     
      Della corruttibilità de Cieli, di alcune comete, stelle nove, e macchie,
      che in essi sono state osservate.
     
      ESERCITATIONE QUARTA.
     
      Che i corpi celesti siano differenti da gli elementari, e specialmente per esser quei incorruttibili & impassibili, e questi passibili e caduchi, oltre molti modi con i quali Aristotile lo prova, uno ne trahe dall'esperienza: dicendo egli, che per sensata cognitione ne da noi ne per memoria de nostri Antichi, si è veduto mai in Cielo alcuna generatione, ne corruttione, ne altra mutabilità, come del continuo si veggono in terra. E questa positione viene spiritosamente impugnata da voi, Sig. Galileo. La somma delle cui ragioni è fidelmente questa. Per la distanza grande (dite) che è fra noi & il Cielo, non sarebbe possibile veder colà generatione ne corruttione alcuna, come di quì non vedressimo queste cose, se si facessero in America, ancorche ci fusse posta dirimpetto, e che ci sia tanto più vicina del Cielo. Ne ci basterebbe dire, per salvar questa celeste incorruttibilità, che non si sia corrotta alcuna stella giamai; poiche, essendo così grandi che pochissime sono minori della Terra, non è ragionevole (se bene nel Cielo sieno delle corruttioni) che una di esse si corrompa, come mai si corrompe il globo della Terra intero; Talche questo non è argomento di vigore, perche ci possono esser dell'altre corruttioni a noi insensibili; e così per via di esperienze, ò memorie antiche nulla conclude Aristotile; e che voi non credete esser stati in terra Selinografi così curiosi, che per lunghissima serie d'anni ci abbiano tenuti provisti di Selinografie così esatte, che ci possano render sicuri, niuna tal mutatione esser seguita giamai nella faccia della Luna: ecco per tanto invalidissimo il fondamento d'Aristotile.


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Esercitazioni filosofiche
di Antonio Rocco
Appresso Francesco Baba Venezia
1633 pagine 230

   





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