Ne io voglio stendermi ad indurle sì per non uscir dal metodo, che hò proposto di esser breve, come perche coll'accennarne lasciarò campo à studiosi di speculare più oltre.
Secondo varie occasioni ponete diversi detti di Aristotile e gli impugnate: primo de' quali è, che le velocità di gravi descendenti hanno tra di loro la medesima proportione delle loro gravità, cioè che il più grave discende più velocemente, ò in minor tempo, e secondo che è maggiore, il tempo della caduta è più breve. Contra la qual positione argomentate in questa maniera a car. 218. Se questo fusse vero, seguirebbe, che lasciate nell'istesso momento cader due palle della medesima materia, una di cento libre, l'altra di una dall'altezza di cento braccia, la grande arrivi in terra, prima, che la minore sia scesa un sol braccio. Al che non può accomodarsi l'imaginatione, cioè che la grande sia giunta in terra quando la picciola sia ancora à men d'un braccio vicina alla sommità della Torre. Alla quale obiettione io rispondo, che la positione d'Aristotile è buona, e voi dovreste solver la sua ragione, e poi argumentargli contra. Ditemi per vita vostra: se l'effetto reale inseparabile della gravità è tender all'ingiù: perche, ove più gravità si trova; ivi non ha da accelerarsi più il moto del corpo cadente, e così sempre à portione, eccetto se occorresse estraneo impedimento? Sopra quali ragioni più certe sono fondate tutte le verità delle misure infallibili de pesi, che sopra di questa irrefragabile? Ne la vostra instanza è di momento alcuno: ma è manchevole per il difetto del senso, conciosia che il tempo nel quale si passa il spatio da i due gravi predetti, è sì breve, che non può dalla vista esser con sì fatte proportioni diviso, anzi, per esser ella debile, nella velocità di moti velocissimi tall'hora per spatio grande, e notabile non scorge diversità alcuna di tempo, come si vede chiaramente nel tiro di un archibugio, ò bombarda, che ha con la palla toccato il segno quando appena si è vista scoccare.
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Aristotile Torre Aristotile
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