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      Pel deserto si possono intanto raccomandare, come assai acconcie, le pantofole gialle degl’indigeni, a cui gli europei si assuefano facilmente e la cui utilità in quelle regioni è testificata dall’essere le medesime la calzatura ordinaria di milioni d’indigeni. E se il marciare in pantofole senza calze si può chiamare andare a piè nudi, allora il mio compagno, dott. Stecker, ed io abbiamo anche compiuto a piè nudi la più gran parte dell’ultima spedizione.
      La copertura del capo ha poscia una speciale importanza. Gli indigeni seguono due sistemi, uno direttamente in opposizione dell’altro. Mentre tanto tra i negri quanto tra gli arabi s’incontrano tribù ed individui, i quali, nonostante l’ardore del sole, espongono il cranio raso liscio ai raggi roventi che lo saettano a perpendicolo, ve ne sono altri che cercano con ogni cura di difendere il capo dalle conseguenze di un’esposizione diretta ai raggi solari, avvolgendolo in ampie pezzuole od in turbanti spesso lunghi 20 m. e larghi 1 m. e cacciandovi sopra un pesante cappello di paglia a larghe falde. Ambedue i sistemi non sono fatti per gli europei. A pochi riuscirà, come al pittore Zander, che era ministro della guerra del re Teodoro di Abissinia, d’indurirsi a tal punto da poter esporre nuda, senza danno, al sole africano, la sua calvizie artificiale o naturale, pochi troveranno piacevole di portar sul capo, come faceva il maggior Laing, la lista di tela, se non pesante certo assai incomoda, di un interminabile turbante. Ancor meno appropriato è il fez, che è il copricapo ordinario degli abitanti dell’Africa settentrionale lungo il Mediterraneo, perché non protegge gli occhi dall’azione del sole.


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Tripolitania
Viaggio da Tripoli all'oasi di Kufra
di Gerhard Rohlf
Editore Vallardi Milano
1913 pagine 310

   





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