Un bei, un pascià, un ricco efendi, un indigeno benestante mantiene spesse volte circa trenta servi o schiavi. Uno ha l’incarico di fare il caffè, un altro di servirlo; v’è chi porta il bacile di ottone, e chi viene col mendil, colla tovaglia; v’è chi reca sopra un piatto un bicchier d’acqua e chi ha il grave ufficio di porgere uno stuzzicadenti; chi ha il compito di nettare e riempire il narghileh, un altro di accenderlo. Insomma, il lettore può scorgere da questi cenni che, mentre da noi un solo adempie questi uffici, in Oriente invece il lavoro è diviso tra molti, in parte perchè il servo è meno intelligente e fa meno lavoro. Da ciò ne segue che quando un turco od arabo di considerazione si reca a bordo di un battello a vapore, non importa se di provenienza turca od europea ed il console, inorridito dal seguito di 20 o 30 negri, vuole opporsi alla loro partenza, il proprietario gli fa osservare: «questi non sono mica schiavi, non sarà mai che io tradisca le leggi del nostro sultano; i negri e le negre che mi accompagnano sono i miei servi». Se occorre, lo si fa giurare, ma il giuramento di fronte ad un cristiano si presta facilmente con una «reservatio mentalis», anzi con una certa gioia maligna, e la faccenda rimane così decisa a tal segno che i negri vengono condotti da un vapore inglese od altro a Costantinopoli attraverso il Mediterraneo e quivi venduti. Questi fatti sono noti a tutti in Bengasi e a Tripoli, e casi simili avvengono anche in Alessandria.
Dove il maomettismo continua ad esistere anche sotto un governo cristiano, dominerà sempre la schiavitù. Finchè i Francesi e gl’Inglesi non hanno la forza o non considerano che valga la spesa di costringere i sudditi maomettani ad osservare le leggi civili, e specialmente a rinunciare alla poligamia, anche la schiavitù perdurerà sempre tra loro.
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Tripolitania
Viaggio da Tripoli all'oasi di Kufra
di Gerhard Rohlf
Editore Vallardi Milano 1913
pagine 310 |
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