È sicuro però che i Romani hanno conosciuta un’oasi così importante. Ed è tanto meno da dubitarne, in quanto che Plinio fa rilevare espressamente il Mons ater o niger, ed un monte di colore così spiccante non può esser altro che il Gebel Ssoda, il quale del resto, così com’è ora, viene esattamente descritto da Plinio. «Di qui si estende da levante a ponente una lunga giogaia, che noi chiamiamo Ater, perchè appare come abbruciacchiata dalla natura, od arsa dai raggi riflessi del sole; e dietro di essa giace un deserto». L’Harugi Assod, il Gebel Ssoda formano una stessa giogaia, a cui gli antichi davano il nome che il colore pone di per sè in bocca a ciascuno. I Berberi, gli Arabi potevano, e noi stessi, se vogliamo, possiamo chiamare questa catena importantissima assai correttamente «Montagne Nere», «Black mountains» o « Schwarzes Gebirge» o «Montagne noire». Ai piedi di questa giogaia è posta ora una delle più fertili oasi: Giofra.
Si è dato all’oasi questo nome, di origine araba, per la conformazione del suolo, poichè Giofra deriva da Giof, ventre, una parola usata spesso dai geografi arabi per avvallamento o depressione. L’avvallamento infatti, sebbene non sia tale in modo effettivo od assoluto, lo è però in confronto dei monti che lo circondano, ossia delle «Montagne Nere». Neanche nel medio evo si fa menzione di quest’oasi, se non che Edrisi, che viveva nel XIII secolo, fa cenno, se non altro, di un sito nell’oasi che, per la sua posizione e per le condizioni locali, sembra ad ogni modo essere il più antico, ossia di Uadan.
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Tripolitania
Viaggio da Tripoli all'oasi di Kufra
di Gerhard Rohlf
Editore Vallardi Milano 1913
pagine 310 |
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