Il Risorgimento fu il resultato di una doppia serie di sforzi: negativi gli uni (per liberarsi dalla dominazione straniera e dall'oppressione politica), positivi gli altri (per costruire un'entità politica nuova). Alla fase negativa può dirsi che prendesse parte in un modo o nell'altro, o per ragioni ideali o per ragioni d'interesse o per una combinazione di queste e di quelle, una frazione notevolissima degli italiani pensanti; alla fase positiva, effettivamente, una minoranza sparuta. Ancora alla vigilia del '59 quegli italiani pensanti, salvo eccezioni ch'io direi numerabili, sapevano bene quel che non volevano piú, ignoravano cosa volessero di nuovo. Gli sforzi negativi avevan scalzato, comunque, le fondamenta dei regimi esistenti: ond'è che in un'Italia instabile sulle sue basi, seppur poco matura a un'autotrasformazione cosciente e vitale, bastò una scossa relativamente assai debole per travolgere il tutto e per imporre quella soluzione che, per quanto niente affatto conforme ai desideri della maggioranza, aveva sull'altre il vantaggio di presentarsi appoggiata a un organismo robusto qual era il Piemonte. La costituzione del regno unito fu un dono dall'alto, stupefacente e inatteso.
Da secoli era stato sempre cosí: la fragilità e la passività italiane giungevano a tale che essa era caduta docilmente preda, un dopo l'altro, di dominatori nostrali o stranieri dotati di un minimum di decisione e di forza.
Pisacane appartenne alla minoranza sparuta dei «positivi». E il suo massimo intento fu precisamente quello, riuscito vano, d'impedire che una volta di piú l'Italia rinunciasse all'autodeterminazione e si afflosciasse sotto una nuova disciplina imposta.
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