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      Fu cosí che, fatto centro naturalmente sul '48-49, si diffuse e accreditò la leggenda secondo la quale il popolo italiano, a dir poco dal '20 in poi, non avrebbe fatto che anticipare col desiderio e affrettare con le opere l'instaurazione di un regime nuovo, e per l'appunto di un regime sul tipo di quello che si era pur mo inaugurato. E Pisacane che era morto nel '57, scannato da quelli stessi che ora inalzavano a gara archi di trionfo a Garibaldi!
      Pure, questa giustificazione postuma della cosí detta rivoluzione unitaria in un primo tempo giovò: perché ciascuno che appartenesse a quelle élites, tornandogli gradito di cogliere per sé una fogliolina del lauro ufficiale dispensato a cosí buon mercato, naturalmente accettò di buon grado tale versione e, figurandosi d'esser davvero un patriarca della nuova patria, prese parte con amore alla cosa pubblica, che sentí sua; perché quegli istituti che, come ormai tutti ammonivano, erano stati conquistati dagli italiani con lagrime e sangue, gli istituti della libertà, parvero sacro e intangibile patrimonio comune, da difendersi con l'unghie e coi denti, e la formazione di una prima coscienza unitaria della borghesia n'ebbe incremento. E il mondo si volse con una tal quale ammirativa tenerezza e benevolenza verso questo popolo che, dopo secoli di servitú e divisione, avea voluta, imposta e conquistata brano a brano la sua indipendenza, e verso i suoi uomini rappresentativi che avevano saputo guidarlo con tanta oculatezza.
      Ma un grave danno avvenire si celava fra quel profluvio di beni.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





Pisacane Garibaldi