Fra gli allievi migliori si sceglievano i paggi di corte, ufficio puramente onorifico: anche Pisacane fu paggio per quattro anni di seguito(2). Venne dunque a contatto con Ferdinando II. Certo non prevedeva che vent'anni piú tardi avrebbe levato al cielo il mancato regicida Agesilao Milano. Ma che pensava, allora, del suo re? Non ne sappiamo niente, a poco servendoci l'osservazione del suo primo biografo essere «questo non lieve indizio di sua nobile indole, che, in quell'età giovanissima cosí facile agli allettamenti ed agli inganni, si serbasse incorrotto e non bevesse il veleno dei consorzi cortigianeschi». Ma la strana parabola della popolarità ferdinandea nella classe colta napoletana di certo non poté non colpirlo.
Nel 1830, morendo, Francesco I aveva lasciato al figlio quel che poteva dirsi la «casa in ordine»: popolazione tranquilla (o apparentemente tale), regime assolutista e reazionario al cento per cento, finanza relativamente sana, tutela di Vienna, tradizione politica del piede di casa. Ma Ferdinando II era salito al trono in un momento difficile: proprio quattro mesi dopo quella rivoluzione di luglio che aveva destato immenso fremito di agitazione e di speranze nei popoli d'Europa e dato un colpo di maglio ai trattati del '15. Còmpito grave, dopo il '30, regnare: gravissimo a Napoli, ché l'equilibrio del regime borbonico poggiava tutto sugli strati piú bassi della popolazione (sempre vivo e istruttivo il ricordo del '99!), nemici per istinto d'ogni novità politica, e nella loro infinita miseria non d'altro sognanti che di possedere la terra; tradizionale per contro il distacco dalla borghesia, dai professionisti cioè e dai ceti nuovi possidenti e intraprendenti, dei quali nel resto d'Europa s'andava sempre piú delineando la prevalenza politica.
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