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      Quando poi si vide Ferdinando assai fermo e rigoroso contro i liberali ringalluzziti, gli uomini migliori del napoletano, immaginandosi d'essere stati ingannati (e lo erano stati infatti, ma dalla loro stessa immaginazione, dai loro stessi desideri), principiarono a vituperare il re anche al di là dell'equo e a diffamarlo sistematicamente in Europa. Nel risucchio di quell'ondata di favore che aveva accolto nel '30 questo sperato Luigi Filippo napoletano, passò cosí inapprezzato e restò sterile anche quel po' di buono che, fra tanti malanni, egli si era proposto di fare e che fece.
      Partecipasse o no Pisacane alla infatuazione, prima, alla denigrazione, poi, di re Ferdinando, una benemerenza gli riconobbe di certo: quella d'aver notevolmente migliorato l'esercito e nell'addestramento e nell'ordinamento, e accresciuto gli effettivi, d'averlo salvato cioè da quella tremenda crisi che lo aveva còlto all'indomani del '20, prolungandosi — fino al '28! — l'umiliantissima occupazione austriaca. Non era cosa da mandare in visibilio Pisacane ragazzo sportivo(3) quel che si diceva del re che, durante una rivista, avendo ordinato all'improvviso a tutti gli ufficiali di montare a cavallo e i piú, disavvezzi, essendosi mostrati ridicolmente incapaci, il giorno appresso ne avesse invitati parecchi a lasciar le spalline?
      Ben presto, però, Pisacane — terminati i due anni del corso d'artiglieria e genio, che si svolgeva a Capua, e assegnato come soldato semplice a un reggimento di fanteria di guarnigione a Nocera — doveva sperimentare quanto, nonostante gli sforzi di Ferdinando, l'esercito napoletano restasse ancora lontano in tutto e per tutto da quel modello di perfezione che gli si era insegnato a venerare in collegio.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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