È provvidenziale, è giusto che quel velo — dopo decenni e decenni — sia stato or ora sollevato dal protagonista medesimo mercè il ritrovamento della sua lettera d'addio ai familiari (Napoli, 28 gennaio '47) che appunto ne contiene la schietta esauriente immediata confessione. «Io amo Enrichetta — egli orgogliosamente scriveva — dal giorno 8 settembre 1830; da quel giorno che la vidi per la prima volta il mio cuore, tenero allora, ricevé una impressione... quella prima fattami nella mia fanciullezza crebbe col cuore insieme, e fu un'impronta sull'acciaio, incancellabile. Enrichetta incominciò a supporre che io l'amassi nel 1841... Feci palese il mio amore nel giorno del suo nome, 15 luglio 1844, ma, credete, non con la speranza di essere amato, anzi con la certezza di non doverlo essere giammai; questa certezza e l'idea della sua infelicità amandomi, attesa la sua posizione, mi fece fare i piú terribili sforzi per cancellare dal mio cuore quell'ardente passione: tentai le mille volte partire per l'estero... ma tutte le strade mi furono chiuse. Io continuai ad avvicinare Enrichetta: tra noi non vi era che una corrispondenza muta, io l'adoravo come l'adoro, con la devozione [con cui] si può adorare una divinità, io temeva di offenderla solamente con un guardo, al suo cospetto tutte le mie facoltà erano sopite, avrei solamente desiderato la grazia di potermi inginocchiare ai suoi piedi e contemplarla... Finalmente Enrichetta mi ha detto je t'aime il 1° giugno 1845. Da quest'epoca abbiamo sostenuto la lotta la piú eroica che si possa immaginare.
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