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      Strano e significativo però, che in una lettera come questa tanto particolareggiata quanto a circostanze di tempo, vero diagramma degli alti e bassi del suo sentimento, Pisacane non accennasse neanche alla lontana al suo ferimento, che pure aveva preceduto di poco la risoluzione presa di fuggire da Napoli. In tanta spregiudicata franchezza, dunque, una reticenza, tutt'altro che casuale e involontaria, e ad ogni modo tale, mi sembra, da autorizzare le insinuazioni affacciate in postumi rapporti di polizia, secondo le quali o Enrichetta si sarebbe compromessa allora irrimediabilmente agli occhi del marito e del mondo, recandosi ogni giorno ad assister l'amico; o addirittura quel ferimento, da Pisacane cavallerescamente attribuito a un delinquente volgare, sarebbe stato in realtà perpetrato, se non dal Lazzari stesso, da un emissario di lui(8). Insinuazioni, e specialmente quest'ultima, non provate, è vero: sintomatico però che il Lazzari non si risolvesse mai, dopo l'8 febbraio, pur sollecitato dal moralissimo governo napoletano, a presentar querela contro i due fuggitivi, che era pur l'unico modo per riavere Enrichetta: temeva forse, in risposta alla querela, una piú grave denunzia a suo carico?
      Quale che sia la verità vera, certo è che la chiacchiera dell'aristocratico ufficiale aggredito sulla pubblica via dal mandatario di un borghesuccio geloso corse per Napoli: s'intende dunque quanto, in quei due mesi di martirio, Pisacane avesse dovuto soffrire, piú che nel corpo, nell'anima: era la carriera compromessa, l'urto violento con le convenienze sociali e, se non ancora lo scandalo, una umiliazione cocente; eran le imaginabili pressioni di colleghi e parenti perché lasciasse «l'amica», il sospetto ingiurioso, diviso dai suoi di casa, che tra lui ed Enrichetta non corressero soltanto gli ostentati rapporti di intimità fraterna: assai piú, insomma, di quanto bastasse per disgustarlo irrimediabilmente del suo ambiente, della vita fino allora condotta, di Napoli stessa, e per ispirargli un desiderio quasi folle di libertà, di evasione da quelle grette esigenze del vivere sociale.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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