A troncare il legame d'amore, ormai, Pisacane non poteva neanche pensare, tanto piena e trionfante vibrava la passione nel suo cuore: Enrichetta, l'unica donna della sua vita! A che valevano gli agi, il rango sociale, l'avvenire medesimo se dovevano separarsi per sempre?
Ma nel contempo egli prevedeva con assoluta calma le conseguenze probabili del suo agire. «Noi non abbiamo veduto il nostro avvenire colore di rosa — tranquillamente assicurava i parenti —, anzi lo abbiamo figurato con i colori i piú tristi»; ma la liberazione di Enrichetta dall'odiosa convivenza col Lazzari e, per entrambi, un mese, una settimana, e magari un giorno solo di unione felice non eran forse prospettive cosí luminose da valer la pena di ripagarle con una vita di stenti o, nel peggiore dei casi, con un buon colpo di pistola nel capo? «Chi può temere di piú la miseria, un milionario, o noi, con le nostre pistole, con i nostri cuori, con la nostra decisione?»
Il suo temperamento rivelava cosí tutto l'esuberante calore di un meridionale, e in piú la ferma inflessibile tenacia di un nordico: amava con impeto, con dedizione assoluta di sé, irremissibilmente; dieci anni piú tardi era allo stesso diapason, e adorava Enrichetta né piú né meno del primo giorno.
La stessa esuberanza, la stessa non effimera foga portava nel detestare con tutte le forze dell'anima l'ipocrisia sociale. Già lo aveva provato nella lettera ai suoi, bollando a fuoco coloro, che dopo aver «venduto» una giovane ignara e inesperta a un marito qualunque, condannandola cosí a bandire dalla sua vita l'amore, eran poi i primi a dichiararla infame se un giorno le nascesse nel cuore gelido un sentimento nuovo(9). A che altro, del resto, avea ridotto il matrimonio l'iniqua società moderna se non a una forma aggravata di prostituzione, in quanto non ammetteva per la vittima possibilità di riscatto?
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