Né Pisacane era di quelli che la pretendono a riformatori sociali per giustificare in un modo o nell'altro la loro condotta socialmente scorretta. No; la sua ribellione sincera, permanente e disinteressata, cui la personale esperienza conferiva adesso un tono particolarmente vibrato e commosso.
Dichiarata la guerra alla società, si sentiva felice e leggero e in pace con se stesso: una liberazione. Contro tutti? Tanto meglio: «Il ne faut faire jamais comme les autres», già allora superbamente proclamava. Con gli anni, poi, vinta la prima prova, avrebbe portato quel suo spregiudicato sguardo indagatore sulle piú varie manifestazioni della vita collettiva, nulla accettando che non potesse, con la sua ragione, logicamente e sentimentalmente giustificare.
In che mai consistesse — se nella sua bellezza o piuttosto nelle sue qualità morali — il fascino di Enrichetta, non sappiamo. V'era nel suo temperamento, certo, l'essenza stessa della femminilità: ardori improvvisi, lucidità d'intuizione, crisi di prostrazione e indecisione, capacità insospettabile di intensi sforzi fisici e morali. Già altri ha supposto che Pisacane la tenesse un poco a modello scrivendo quel paragrafo dei Saggi che è dedicato alla donna: «La natura ha dato loro fibre piú delicate e piú sensibili delle nostre, e però le loro sensazioni vivissime, non possono essere che fugaci... Capaci di quelle azioni ove il decidersi e l'eseguire succedonsi rapidamente, sono poi incapaci di sopportare a lungo dolori e mirare al conseguimento di un fine con attenzione profonda e prolungata».
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