Ma con l'andar degli anni, col maturarsi della sua personalità di tra le prove difficili, Enrichetta giunse faticosamente a comprendere e a rispettare in lui questa capacità di superamento di un affetto che essa sola sapeva quanto vivo fosse nel suo cuore, e anzi ad amarlo anche di piú, appunto perché, facendola soffrire, l'aiutava ad inalzarsi.
N'è testimone, ancora una volta, il Mazzini, cui la felicità dell'amico ispirava la dolente frase di sapore autobiografico «la maledizione del vae soli non si adempiva per lui»: «Dirò soltanto che quell'amore, mercè le nobili aspirazioni della donna, non infiacchí mai l'anima dell'amico, non si trovò mai a contrasto coll'adempimento dei suoi doveri, e gli accrebbe forza a lietamente compirli. Fu l'amore delle epoche di credenza, l'amore che ritempra l'animo a grandi cose...»
Capitolo secondoFuga
I due fuggiaschi discendono a Livorno, mentre il patrio governo, ed anzi il Re stesso, «con reale animo conturbato», li fa cercare, dal Console napoletano, a Marsiglia. Scoperta poi la residenza vera, gran confusione a Firenze: dove, tempestando l'Incaricato napoletano perché la polizia li stani e glieli consegni, il Ministro degli Esteri toscano in persona scrive d'urgenza a Livorno perché la coppia venga fermata, «e la donna posta in luogo di custodia»; il Console napoletano a Livorno s'impadronisce dei loro passaporti, da Napoli si spedisce nel porto toscano un ispettore di polizia, perché ne scovi le traccie. Tutto invano. Gli adulteri, procuratisi chi sa come due nuovi passaporti napoletani, intestati a Enrico e Carlotta coniugi Dumont, piantate le valigie (e un conto da pagare) alla locanda, scompaiono da Livorno.
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