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      «Le povere signore — cosí il duca scandalizzato e deluso al suo Ministro degli Esteri — tornarono dal carcere dopo due ore di persuasione e combattimento, penetrate di orrore, avendo trovato nella Signora Lazzari una riunione delle piú esaltate e cieche passioni, con una sfrontatezza e la piú orrida immoralità, e l'ateismo il piú positivo. Si dovette abbandonare qualsiasi idea di pentimento e ravvedimento...»
      Alla polizia francese Enrichetta dichiarava semplicemente di non voler altro «che vivere col suo Carlo, non temendo né la miseria, né la morte».
      L'8 di maggio, non essendo giunta da Napoli la querela del Lazzari, la coppia adultera, con grand'ira del duca, ricuperò la libertà perduta. Pisacane, anzi, si presentò al Serra-Capriola in persona, chiedendo gli rilasciasse passaporti per la Svizzera o per l'America. Il colloquio fu tempestoso: «Io gli risposi — precisa il duca — che mi meravigliava del suo ardire, mentre egli doveva ben sapere che avanti a me egli non era che un disertore; che, se le leggi francesi non mi davano il potere di farlo ritornare nel suo paese per subire la pena meritata, le leggi d'onore pei militari in questo stesso paese portavano al disprezzo sopra chi abbandonava la sua Bandiera. Che però se egli era pentito del doppio suo delitto, avendo portata la disgrazia e la vergogna di una onesta famiglia, e si separava dalla Signora Lazzari, io nel prender questa sotto la mia protezione, avrei implorato a di lui favore l'indulgenza delle leggi e la Clemenza Sovrana.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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