Si va a tentoni. Ma è verosimile che anche a Pisacane l'idea dell'unità italiana — poi fermissima in lui, se pur la concepisse ravvivata da ampie autonomie regionali — sia balenata là fuori, come a tanti altri, una volta messi in grado di considerarla nel suo assieme, questa Italia, da lontano, fuori dalle meschinità provinciali, e anche da quelle storicamente giustificate gelosie fra Stato e Stato; una volta cioè resi capaci di anticipare nella vivente realtà di un piccolo mondo di esuli la sognata possibilità di una fusione avvenire. Grandi virtú prospettiche, di televisione, diremmo, create, storicamente, dall'emigrazione politica, e per le quali soltanto, chi pensi agli ultimi secoli della storia italiana, varrebbe la pena di andar grati ai regimi tirannici! Che sarebbe stata l'Italia senza la periodica forzata emigrazione nel mondo di cospicue minoranze intellettuali che, in tempi d'oscuramento della libertà, quindi della coltura, in patria, assicurarono — fuori — la continuità ideale del nostro sviluppo civile?
Francia ed Inghilterra, poi, precedevan l'Italia di almeno cinquant'anni, allora, se non altro per quel che riguarda lo sviluppo effettivo e dottrinale della civiltà moderna. Un italiano che vivesse sia pure poche settimane in quei paesi, con occhio attento a quel che gli accadeva d'intorno, si trovava in condizione d'anticipare la visione di problemi ancora immaturi, o addirittura neppure impostati, per allora, in patria. Soprattutto poteva afferrarvi d'un subito, o sfogliando un giornale, o visitando un quartiere industriale, o frequentando le sedute delle Camere, l'idea della complessità d'ogni fenomeno sociale e della relatività d'ogni questione politica.
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