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      Ma nell'investire «un piccolo ridotto che (gli austriaci) s'erano formati dietro un masso di pietre, e dal quale fulminavano i nostri, fu Pisacane ferito al braccio destro; non pertanto continuò ancora il comando di difesa».(26) Quando il nemico, alla fine, ridiscese sconfitto, contava trenta morti e altrettanti feriti; che per le scaramucce del tempo costituiva una cifra assai rispettabile!
      Il ferito, che è stato costretto — son sue parole — a «camminare due ore a piedi e quattro sopra una sedia», vien trasportato a Salò. Spaventosa l'organizzazione sanitaria! Gli ospedali non offrono che pagliericci, e qualche volta manca perfino la paglia. I medici, Dio ne scampi e liberi: propongono a Pisacane l'amputazione del braccio; il disgraziato può ringraziar la fortuna che fa sopraggiungere un chirurgo sul serio, certo Leone. Questi gli salva, nonché il braccio, probabilmente la vita stessa.
      Enrichetta accorre da Milano, lo vuole assistere lei. Triste era stata, due anni prima, un'altra convalescenza a Napoli; tristissima adesso, nell'assolata Salò. Il tempo che passa lavora infatti per l'Austria che si ristabilisce all'interno e il cui esercito gradatamente riacquista la superiorità del numero e dell'iniziativa sul proprio avversario. Le truppe sarde tengono ancora nel luglio, prima metà; ma il 25 del mese è Custoza. E poi, per scontri perduti, per deficienza di servizi, per la scarsa combattività delle truppe, per l'indecisione del re, per la mancanza di seconde linee preventivamente disposte, di un piano di ritirata, per cent'altre ragioni, le tappe fulminee della disfatta.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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