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      L'armistizio rifiutato, il proclama agl'italiani, l'ingresso in Milano.
      Pisacane, che ha pur già tante volte bollato d'incapacità l'alto Comando Sardo, crede di sognare dinanzi al crescendo di spropositi strategici e tattici che esso va commettendo: possibile che si pensi davvero a difender Milano, città aperta, da entro le mura? Tanto disastro, tanta inettitudine lo infuriano. Mezzo invalido ancora, precipita a Milano, si presenta a Fanti, Maestri, Restelli, membri del Comitato di Difesa: la salvezza, dice, è forse possibile ancora, purché si ardisca di separare senz'altro la causa lombarda da quella della monarchia di Savoia, e si sappia, si voglia, risuscitar per davvero l'animo delle Cinque Giornate. Il piano che egli propone, che altri del resto hanno già proposto, è audacissimo: sgombrar la città, concentrar fulmineamente tutte le forze lombarde — un quaranta o cinquantamila uomini, calcolando su una leva in massa immediata — tra Bergamo e Brescia; di là sferrare un colpo disperato, gettandole tutte dapprima contro il corpo di Thurn, asserragliato a Peschiera, poi contro quello di Welden, che sta bloccando Venezia. Rischioso, sí; ma non ci si trova di fronte a una situazione, peggio che disperata, perduta di già?
      Fanti, Maestri, Restelli lo ascoltano in silenzio; poi gli significano che gl'invalidi hanno l'ordine di sgombrare immediatamente Milano: pensano forse che oltre che al braccio egli sia stato ferito alla testa? Al capitano Pisacane è giuocoforza inchinarsi e obbedire; non senza prima avere espresso agli amici la sua convinzione, ahimè confermata anche troppo presto dai fatti, che dai dirigenti la Difesa «non s'avesse alcun fermo proposito di resistere al nemico né di far opera degna di quel popolo che a loro obbediva». Poco piú di un mese è passato da quando gli austriaci, sul Nota, gli han fracassato l'arto; ed ora, sulla via di Brescia, non può che apparirgli tutta la dolorosa inutilità di quella scaramuccia di cui pure andava tanto glorioso, del suo sacrificio, di quella guerra insomma al cui richiamo è accorso con tanto ingenuo entusiasmo.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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