La prima via (che per vari segni sembra quella prescelta a Torino) condurrebbe a una sicura disfatta, ché il nemico, irrompendo in colonna, avrebbe facilmente ragione dei singoli corpi affrontati un dopo l'altro. La seconda via, che l'atteggiamento della popolazione lombarda, pronta ad insorgere alle spalle dell'esercito austriaco, vale a rendere assai poco rischiosa, promette invece un successo probabile. Il Comando sardo non ha che da operare una finta su Novara, tale da impegnare l'attenzione nemica, e intanto, col grosso delle forze, filare sul Po, traversarlo e puntare a Cremona. L'esercito austriaco, aggirato, si troverà tagliato d'un tratto dalle sue piazzeforti, con le comunicazioni sbarrate, con la rivolta in casa: non gli resterà che la resa. La vittoria italiana sarà tanto piú certa quanto piú sollecita sarà la dichiarazione di solidarietà piemontese coi tre governi di Venezia di Firenze di Napoli, dai quali è lecito attendersi un contributo essenziale di un 50 000 uomini almeno.
Per quanto poco assuefatto a tanta audace inframettenza antigerarchica, il generale Bava, sembra, si degnò esaminare l'audacissimo piano(34); certo ne scrisse all'autore significandogli che a suo parere esso peccava per soverchio ardimento.
Soverchio ardimento? Agli specialisti di storia militare l'ardua sentenza definitiva ch'io non mi sento di dare. Osservo soltanto esser pacifico ormai che l'inconcludente disegno di mera osservazione e difesa adottato dallo Czarnowski fu il peggiore di quanti mai se ne potessero scegliere, equivalendo al suicidio dell'esercito sardo e alla rinuncia effettiva dell'ausilio lombardo; l'errore commesso venne inoltre aggravato dall'avvenuta denunzia dell'armistizio prima d'aver negoziato e pattuito l'immediato intervento delle milizie offerte dall'Italia centrale.
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