Roma è un simbolo, un mito; se poche, relativamente, son le braccia accorse a difenderla, con l'animo sarà sugli spalti la parte migliore d'Italia. Roma che cade senza colpo ferire è il mito che si dissolve; Roma che cade dopo resistenza accanita son gl'italiani che ne sentiranno poi sempre il tormento e in quel glorioso ricordo sapranno osare e soffrire.
Ancora una volta, in cosí dire, Mazzini ha con sé la maggioranza dei capi militari e dei deputati all'Assemblea; tanto che in un consesso dei triumviri e dei ministri, all'uopo riunito, il piano di Pisacane viene respinto all'unanimità.
Piú divisi invece i pareri sulla questione se, per contrattaccare i francesi, convenga proprio attendere che questi investano le mura di Roma. Mazzini ritiene di sí, sperando sempre che la spedizione francese, organizzata piú che altro per esigenze di politica interna, possa da un nuovo Ministero o da una nuova Camera (pendono in Francia le elezioni politiche) venir richiamata o almeno spogliata di ogni apparenza offensiva; cosí stando le cose non sarebbe pazzesco anticipare uno scontro, col rischio di scatenare davvero le correnti belligere dell'opinione francese? Questo ragionamento persuade poco, s'intende, la gioventú di Roma, e Pisacane pochissimo; ma l'opinione del Capo, che tutti sanno legato da antichi vincoli ai leaders della democrazia francese, ha sí gran peso che le opposizioni, pur fremendo, si tacciono.
Lanciata dunque all'Europa un'anticipata protesta contro la violazione inaudita del diritto delle genti che la Francia minaccia di consumare, il governo di Roma si limita ad apprestare entro le mura la difesa della città. Tanto ingenua e profonda è l'illusione nella quale Mazzini si culla che, per ordine suo, lungo la strada di Civitavecchia vengono affissi vistosi cartelli, redatti in francese, riepiloganti il buon diritto di Roma!
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