Abituato agli scacchi (piano di reclutamento suggerito nell'aprile '48, tenuto in non cale; piani di guerra del maggio e del luglio successivi, respinti; piano spedito al Bava, giudicato troppo ardito), Pisacane non s'adonta per il rigetto delle sue proposte, anzi volentieri s'adatta a studiare come meglio si possa tradurre in effetto quel disegno che pur lo persuade sí poco; e tanta buona lena vi pone che, per riconoscimento dei piú, si dovrà in buona parte proprio a lui e alle disposizioni da lui escogitate (oltre che, si sa, alla eccezionale capacità combattentistica di Garibaldi) se la prima giornata di guerra delle milizie romane si concluderà con un successo autentico(42).
Brusco risveglio per Mazzini ancora ostinatamente gallofilo quel 30 d'aprile, quei diecimila francesi avanzanti su Roma! Violentemente attaccati e respinti, cento dei loro, morti, oltre a quasi trecento arresisi, rimangon lí ad attestare a che sia ridotta la repubblicana fraternità del governo di Francia. Garibaldi, viste le terga nemiche, vorrebbe perfezionar la vittoria, gettandosi all'inseguimento; e forse, per dovere d'ufficio, tocca per l'appunto a Pisacane, che pur sarebbe dello stesso parere, trasmettere l'ordine perentorio del triumvirato di non uscire dagl'immediati dintorni della città. Mazzini, imperturbabile, si sforza adesso di pensare che, avuta una buona volta la prova della risolutezza romana, Parigi rinuncerà a colorire il suo iniquo disegno; animato da tale speranza, che Pisacane, da buon militare, principia a trovare pericolosa e ridicola, non giungerà egli perfino a ordinare la restituzione dei prigionieri del 30?
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