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Andavan tutti d'accordo, intorno alla metà di maggio, che bisognasse, ora che Roma era finalmente ben guernita di truppe, uscire dalle mezze misure e finirla con quella inconcludente guerretta; ma chi, al solito, voleva non si pensasse ad altro che a trasformar la città in una piazzaforte sul serio, chi — Pisacane ad esempio — diffidando della buona fede francese, pretendeva si rinnovasse senza indugio, e in proporzioni piú vaste, il conflitto del 30 di aprile, per poi passare ai borbonici. Mazzini, sempre invischiato nella pania francese (il 17 di maggio il Monitore ufficialmente annunziava la sospensione delle ostilità franco-romane), timoroso d'altronde che, ove si lasciassero i napoletani avvicinarsi a Roma, l'Oudinot non ne prendesse pretesto per «amichevolmente» occuparla, aveva un terzo progetto: uscir di sorpresa dalla città con quasi tutto l'esercito e investire i borbonici accampati in Velletri con un'offensiva siffatta da obbligarli a mollare la posizione e comunque da infligger loro una sconfitta che servisse a rianimare i difensori di Roma.
Pisacane — è Mazzini che lo attesta — fu il solo tra i capi militari che, sedotto dall'«audace consiglio», se ne facesse banditore entusiasta; laddove Roselli, in successive polemiche di stampa, orgogliosamente si attribuí e la paternità e il merito di quel progetto. La questione non è ancora perfettamente chiarita; certo è comunque che Pisacane ebbe parte precipua nell'apprestamento tecnico dell'operazione, la quale venne ben presto coronata dal piú brillante successo.
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