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      Il piano originale del comando romano, che la sortita garibaldina aveva violato, era quello di girare Velletri, e guadagnando Cisterna tagliare la ritirata ai borbonici o almeno assalirli sul fianco(51). Ma ora che conveniva di fare? Tornare al primitivo disegno o tentare di espugnar Velletri? Garibaldi e Pisacane una volta tanto concordano e già questi sta emanando gli ordini perché le truppe discendano al piano quando Roselli, poco sicuro dei suoi uomini e desideroso d'una esplicita autorizzazione di Roma, oppone il suo veto. Si perde cosí quel pomeriggio prezioso a rinnovare inutili attacchi contro Velletri, che l'indomani mattina, vuota di difensori, cadrà automaticamente; ma intanto l'intero corpo borbonico trae in salvo al di là dei confini.
      La vittoria ad ogni modo era piú che bastevole; poco opportuno perciò l'invito del triumvirato al Roselli di inseguire il nemico foss'anche sul suo territorio. Si eran pesate tutte le conseguenze di una simile mossa? Al Generale e al suo Capo di Stato Maggiore parve di no e che lo sforzo offensivo si sarebbe tragicamente spezzato contro le due piazzeforti di Capua e Gaeta; onde, anziché muoversi, comunicarono a Roma il loro parere assai ragionevole, ricevendone in risposta l'ordine di rientrare in città. Restò Garibaldi a eseguire con la sua divisione la marcia dimostrativa, che si concluse, naturalmente, senza alcun resultato.
     
      La campagna di Velletri, cagione d'orgoglio ai romani, aveva rivelato in piena luce solare come sia difficile in un esercito interamente composto di volontari, conservare il principio gerarchico.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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