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      Se il risultato della guerra di Napoli parve galvanizzare il corpo della repubblica, e ne fioriron rinnovate speranze, la loro vita fu breve. In Francia, infatti, lo scontro del 30 d'aprile aveva prodotto una tremenda impressione. Il governo, costretto ad agire energicamente, avrebbe potuto o richiamare la spedizione (ma il prestigio francese, l'influenza in Italia?) o proclamare apertamente la sua intenzione di rovesciare al piú presto il regime repubblicano a Roma per ristabilirvi il Pontefice (ma avrebbe l'Assemblea consentito?) Scelse, tra gli scogli, una rotta intermedia, che condusse, com'è noto, a uno fra i piú disgustosi episodi della recente storia di Francia e a un «caso» diplomatico assolutamente senza precedenti: missione Lesseps (15 maggio), cioè, con incarico di indurre il governo di Roma ad accogliere come amiche le truppe francesi. Dopo due settimane di promettenti trattative (delle quali Oudinot sa profittare per migliorare la sua posizione strategica e rinforzare il suo corpo), quando di pieno accordo vien stabilito che le truppe francesi seguitino a occupare il territorio romano al solo scopo di garantirlo dall'invasione straniera, e sempre astenendosi dal varcare la cinta dell'Urbe (31 maggio), una improvvisa comunicazione del generale francese al triumvirato (1° di giugno) significa che la convenzione Lesseps è da considerarsi nulla e come non stipulata e che l'investimento di Roma è questione di ore!
      La partita è perduta; né si vuole qui sostenere che senza Lesseps, senza cioè che i romani, cullandosi in traditrici illusioni, avessero per quindici giorni trascurato l'apprestamento della città a difesa (tutti presi, dopo Velletri, da disegni di arresto dell'avanzata austriaca), questa si sarebbe salvata; ma certo il suo destino è affrettato e si è perduta comunque la possibilità, fino a poco innanzi esistente, di attaccare i francesi finché inferiori di numero.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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