Approva senz'altro, perciò, il piano suggerito da Mazzini di uscir con tutto l'esercito, attaccare il nemico a Villa Pamphilj, che è stata conquistata di sorpresa il 3 di giugno (mentre Oudinot s'era solennemente impegnato a non iniziare le operazioni prima del 4), prendere cosí al rovescio gli apprestamenti di assedio e caricare i francesi in direzione del Tevere.
Ore e ore a interrogar le carte, ore e ore a studiare il terreno: è lui che stabilisce la disposizione delle forze, è lui che prepara gli ordini di marcia. Mazzini gli rende schiettamente questo onore d'aver lui, lui solo tradotto quel pensiero in un magnifico disegno pratico, dandogli «s'altri non lo rimutava poco prima dell'esecuzione, tutte le possibili probabilità di trionfo».
«Questa idea di una battaglia è nuova», osserva Roselli, che conosce a menadito la storia e la teoria della guerra d'assedio, quando Mazzini lo chiama per sottoporgliene il disegno. «Sarà nuova, ma è adatta alle circostanze», ribatte Mazzini. Roselli aderisce; ma Garibaldi, incaricato di capeggiare l'impresa, s'impone a sua volta al debole condottiero, persuadendolo dell'opportunità di rinunciare alla progettata battaglia campale e d'operare in sua vece una semplice sortita o sorpresa dimostrativa. «Colonnello — cosí Garibaldi bruscamente interrompe Pisacane, che è venuto ad illustrargli il primitivo piano d'operazione —, con le nostre truppe sono impossibili le manovre». Pisacane si ritira «mortificatissimo». La notte del 10 di giugno, non appena la sortita s'inizia, fuor di porta Cavalleggeri, basta un modesto allarme per scompigliare le truppe, le quali si ritirano nella piú gran confusione.
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