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      Libri, riviste, opuscoli si spacciano sul luogo, ma soprattutto si mira, attraverso a mille costosi e rischiosi accorgimenti, a spargerli in Italia, e dovunque in Europa sono emigrati italiani, a dispetto delle polizie, come sempre incapaci a impedire la diffusione del libero pensiero.
      Segno di declinante fiducia nell'azione questo scriver di storia, questo riandar criticamente il recente passato? Non sembra; ché dagli sforzi riuniti di quegli esuli, buoni a menar la spada a suo tempo (e lo avevano, uno per uno, brillantemente mostrato) e ora la penna, uscí un insieme di scritti che giovò immensamente a dare agli italiani la fondata coscienza del loro diritto alla libertà e all'autogoverno: prologo indispensabile a un'azione risolutrice.
      Pisacane che a Roma è stato, piú che del Roselli, il Capo di Stato Maggiore di Mazzini, diventa ora l'autorizzato critico e storico militare dell'Italia del Popolo. Esordisce anzi fin dall'agosto con due scritti che vengon stampati come opuscoli, in attesa che la rivista inizi le sue pubblicazioni: un Rapido cenno sugli ultimi avvenimenti di Roma dalla salita della breccia al dí 15 luglio 1849 e una curiosa Lettre du Chef de l'état major de l'armée de la république romaine au géneral en chef de l'armée française en Italie. Il Cenno, composizione di mera cronaca, non offre oggi alcun speciale interesse; la Lettre invece è documento tipico della mentalità pisacaniana.
      L'Oudinot, sbarcando sul suolo romano, aveva preteso, s'è visto, che Roma aprisse fidente le porte alle sue truppe, accorse — cosí diceva — a far atto di «fraternità». Giustamente respinto, s'era mostrato qual era: nemico implacabile e, quel che è peggio, fedifrago; ora, domata Roma, osava seguitare in piena mala fede a deplorare la «inaspettata» necessità nella quale si era trovato di penetrare nell'Urbe con la forza dell'armi.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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