Bisognava inchiodare alla gogna della sua dimostrata doppiezza questo messere, violatore d'ogni norma di buona guerra. Ed ecco la bellissima lettera, fremente di sdegno, grido di protesta di un militare sollecito dell'onor militare contro chi lo trascinava nel fango. Perché evitava costui di precisare i termini della missione Lesseps? Perché non confessava al mondo che il potente governo francese s'era servito d'un inganno volgare per penetrare in Roma? Due mesi per impadronirsi di una città aperta! E il vergognoso rovescio del 30 di aprile, bella gloria davvero per l'«eroe» di Roma!
Ultima parte, la meno buona: avesse il comando romano seguito i consigli suoi, di Pisacane, allora sí che l'Oudinot avrebbe a proprie spese imparato quanto mai ingrata e pericolosa si fosse l'impresa di assalire un popolo intero deliberato a difendere la sua libertà. Dove lo scrittore dimenticava due cose: la prima che i nemici si vincono in campo e a nulla giovano, deposte le armi, le postume rivelazioni, i cavilli e le bravate; la seconda che era ancora un po' presto per arrischiare il computo dei meriti e delle responsabilità della difesa di Roma e che, comunque, non proprio a lui, ex capo di S. M., toccava aprire il torneo delle recriminazioni dando addosso a superiori e a colleghi, e attribuendo col senno del poi ai suoi inascoltati pareri tutte quelle probabilità di successo che sembran sempre arridere alle iniziative inattuate. Petulanza e superbia che gli procurarono inimicizie accanite e, peggio ancora, freddezza di amici provati.
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