Con l'esperienza che gli viene dal conoscere appieno sentimenti e aspirazioni dei popoli napoletano, lombardo, piemontese e romano, Pisacane ritiene per certo che la «rivoluzione morale» sia già compiuta in Italia: al cui avvenire è lecito dunque guardare con assoluto ottimismo.
Ma nel conflitto quali saranno le forze operanti italiane? Semplicissimo: i due eserciti piemontese e napoletano, i quali finora obbediscono ai rispettivi sovrani ma che nel dí della lotta, ricordando d'esser fatti di popolo, volgeranno certamente le armi contro il comune nemico; dietro ad essi si affolleranno le moltitudini, insorte progressivamente a principiar dal mezzogiorno d'Italia (dove piú diffuso e sentito è il malcontento)(65) su su fino al nord. Le forze avversarie, inoltrandosi nella penisola, saran costrette dall'Appennino a sdoppiarsi; e sarà proprio là, allo sbarramento appenninico, che la battaglia dovrà essere imposta; le insurrezioni a catena, dilatandosi nel bacino del Po, serreranno il nemico in una morsa di ferro.
Ottimismo esagerato, d'accordo. Ma l'articolo era importante non tanto per le sue conclusioni discutibilissime quanto per le premesse: non accadeva infatti tutti i giorni che un «rivoluzionario» impostasse il problema italiano in termini di tanta chiarezza staccandosi dalla consueta falsariga della vecchia propaganda insurrezionistica, che faceva sempre discorsi generici e troppo fidava, ammettendo l'insurrezione scoppiata, nelle capacità improvvisatrici del popolo in rivoluzione o nella divina provvidenza.
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