Era, quello di Pisacane, un bilancio di forze che nel suo semplicismo noi oggi tacciamo d'erroneo; il suo merito, per altro, stava in ciò che esso dimostrava la necessità che bilanci preventivi si tentassero e che ogni voce ne venisse rigorosamente controllata. Gran passo innanzi, poi, che un militare, dal suo punto di vista sottolineasse la possibilità e la eseguibilità dell'idea mazziniana d'una rivoluzione integrale e sopraregionale.
Dall'articolo, che confidava la liberazione d'Italia non piú alla miracolistica azione d'un dei suoi Principi, ma alla volontà rivoluzionaria dell'intero popolo italiano, balzava dunque l'indicazione di una duplice azione: propaganda insurrezionale in tutta la penisola e particolarmente nelle Due Sicilie, da un verso; neutralizzazione della propaganda piemontese, dall'altro. Ai quali imperativi Pisacane obbedirà strettamente negli anni avvenire. L'idea dell'iniziativa dal sud, in special modo, diverrà la sua fissazione: è vero che essa s'andava allora accreditando anche indipendentemente da lui nell'ambiente mazziniano(66), ma Pisacane lo sentiva, ci credeva, v'era portato per istinto profondo piú di chiunque altro. Fin dal settembre di quell'anno, ad esempio, volle entrare in corrispondenza con Nicola Fabrizi, meridionale anche lui, che era come il padre spirituale di ogni manifestazione italiana nel mezzogiorno della penisola: Fabrizi concordava appieno(67). Ma perché quell'idea potesse diffondersi dappertutto in Italia era necessario dapprima purgare da molti preconcetti e diffidenze antimeridionaliste gli italiani del resto d'Italia: come distruggere ad esempio l'esosa leggenda che circolava a danno dei meridionali (napoletani e siciliani in un mazzo) essere il loro carattere molle e arrendevole, atto a prorompere sí, ma non a resistere; o l'altra della loro pretesa incapacità congenita a uno sforzo concorde?
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