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      Dove per contro riesce anche oggi difficile seguire piú oltre quei rivoluzionari si è nel loro considerare decisamente piú sano il dominio straniero, piú sano l'assolutismo oligarchico che non la «canzonatura» di libertà rappresentata dal monarcato costituzionale; poiché, secondo loro, l'assolutismo se non altro avrebbe eccitato alla reazione e serbato le popolazioni vive e frementi e potenzialmente almeno padrone del loro destino; laddove il costituzionalismo, col gabellarle libere e sovrane, ne avrebbe cloformizzati gli istinti rivoluzionari, smorzando in esse perfino il desiderio della libertà integrale. Sí che il liberale vero avrebbe dovuto e dovrebbe assai piú impensierirsi dell'impianto di un regime, diciamo, all'inglese, che non del prolungarsi (o stabilirsi) d'un sistema antiliberale. Paradosso che ormai ha fatto il suo tempo, come quello che ha condotto molti, in piena buona fede, a farsi alleati della reazione per soverchio amore di libertà.
      Ma fin che Pisacane sosteneva che la scintilla della emancipazione italiana si sarebbe determinata non già nelle provincie nelle quali si stava meno peggio e si godeva una maggior libertà d'azione, ma in quelle piú inermi e addormentate e oppresse, era nel vero e nel giusto (astrazion fatta, s'intende, dall'intervento nel giuoco, all'ultimo, di quelle soluzioni di compromesso delle quali egli, mirando all'autoliberazione degli italiani, naturalmente non teneva conto). E che vi fosse in questa sua opinione buona dose di campanilismo napoletano, non importa davvero.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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