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      Urgeva dunque di render consapevoli le masse dei mali dei quali soffrivano e della possibilità di rimuoverli. Prematuro sforzo, e in ultima analisi nient'altro che pretesti offerti al Borbone per nuovi «giri di vite» da praticarsi sugli infelici regnicoli, protestavano molti. Tanto di guadagnato: pressione che in una caldaia aumenta oltre il normale, scoppio vicino.
      Chiarito l'obbiettivo della rivoluzione italiana, restava da precisarne il come. È quel che Pisacane cercò di fare in altri due numeri dell'Italia del Popolo (settembre-ottobre) col saggio La scienza della guerra, mirante non solo a divulgare principii di strategia e norme tattiche, ma a rimuovere talune delle piú gravi difficoltà contro le quali generalmente si urtavano i promotori delle insurrezioni, giovani generosi ma per lo piú inesperti. S'aveva da tener presente l'esempio di Milano 1848? Era presto detto: la via da seguirsi era precisamente l'opposta di quella che allora avean scelta. Del possibile apporto di forze regolari alleate (ossia di forze monarchiche) si facesse nessun conto; massimo conto invece dei volontari, i quali andavano accolti con entusiasmo, ordinati immediatamente, utilizzati al piú presto, aumentati con ogni mezzo; gli ufficiali si eleggessero dai volontari stessi, compreso il comandante supremo; l'esercito insurrezionale fosse mobilissimo, non tentasse — il nemico avanzando — difesa di piazzeforti o città; evitasse con ogni cura una sorpresa a suo danno; rifiutasse lo scontro, pur di poca importanza, ove non avesse la preventiva certezza della vittoria; quando fosse forte abbastanza per passare all'offensiva, proporzionasse via via gli obbiettivi immediati al crescere della sua superiorità numerica.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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