Ma in quel santuario, ahimè, ficcò lo sguardo indiscreto la polizia, che nel corso della perquisizione operata al domicilio di Pisacane, dopo la sua morte, rintracciò, tra pochissime altre, la lettera di Enrichetta, per sette anni dunque gelosamente custodita.
Quale si sia l'impressione che essa può suscitare al primo istante, guardiamoci dall'avventar giudizi definitivi su circostanze che restano tuttavia incerte ed oscure. Tentiamo di capire. Da qualche accenno contenuto nella lettera stessa risulta che a Genova, in un primo tempo, Enrichetta poteva contare sull'appoggio di un «Achille», poi trasferitosi a Nizza, che a quanto pare era un suo familiare, forse suo fratello. È possibile che il consiglio di riunirsi provvisoriamente a questo suo congiunto le fosse venuto dallo stesso Pisacane, al ritorno da Londra, e forse anche prima di allora: che ella almeno godesse di un po' di pace finché egli non trovasse, in un luogo o nell'altro, un'occupazione stabile.
Lunghi mesi di solitudine per Enrichetta, preghiere dei suoi perché tronchi una buona volta la relazione con un uomo che in tre anni d'unione non ha saputo offrirle che vita agitata e miseria; nostalgia dei bambini lontani; venerazione per la mamma che «piange sempre e domanda al cielo cosa ha mai fatto per esser cosí punita...»; e non una casa, niente che le riempia le grigie giornate. Questo basta per gettarla in un mare d'angoscie e di dubbiezze. Mentre ella si trova in questo tristissimo stato, lontano il suo Carlo e forse unicamente assorto nella stesura del suo libro, tra quei che la frequentano, uno — il Cosenz, coetaneo e amico d'infanzia di Pisacane — s'invaghisce di lei.
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