Enrichetta, pur non cessando di amare il suo Carlo, sente che una irresistibile forza la trascina suo malgrado a ricambiar quell'affetto. È come se ella non avesse piú volontà sua; segue con la lucidità di un'allucinata il progredir del suo male, ne fa una spietata diagnosi come se si trattasse di un'altra persona, non sa reagire; i suoi sensi tendono irresistibilmente verso quel nuovo tepore; la ragione, che si ribella, crea il conflitto interiore, tormentosissimo. Leali fino allo scrupolo, i due non nascondono all'amico lontano il loro dramma, che è il suo dramma. Gliene descrivon le fasi con fredda imparzialità, come se si trattasse di un problema difficile da risolvere: che fare? Cosenz dovrebbe sposarsi di lí a poco, ma come lo potrebbe onestamente?
Pisacane risponde: maledice, minaccia, vitupera? Macché. È straordinaria la capacità che certi sentimentali dimostrano di notomizzare il proprio sentimento affettando indifferenza pei resultati che l'esame darà: Pisacane (lo s'intende dalla lettera di lei) non scongiura neanche; probabilmente, riconosciuta la libertà che ad Enrichetta compete di cercarsi la felicità ove meglio ella creda, si limita alla parte del consulente. Nello stesso modo che, italianissimo com'è, ha fatto un bilancio severo dei recenti avvenimenti italiani, fa adesso, impassibile, il bilancio, che potrebb'essere di liquidazione, della sua esperienza d'amore: come se tutto ciò non fosse in carne viva... Non ha diritti, non ha dunque pretese; ragiona solo nell'interesse di lei.
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Carlo Pisacane Enrichetta
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