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      Ma le cose che dice, lui che nell'animo di Enrichetta ha imparato — ormai da dieci anni — a leggere come in un libro aperto, son cose che aiutano lei a veder chiaro, a distinguere, nella crisi, gli elementi puramente sentimentali dai molt'altri di diversa natura: solitudine, malinconia, nostalgia della casa e dei figli. Non è forse possibile che Enrichetta abbia esagerato il suo male a forza di tormentarcisi su? Che ingenuamente abbia veduto nel Cosenz, avvicinatosi quando la crisi aveva raggiunto il suo apice, il deus ex machina che ne l'avrebbe tratta fuori, quando invece nessuno fuorché il suo io profondo avrebbe potuto placare la tempesta interiore? La risposta di Pisacane, comunque, suona ad Enrichetta come la voce amica che la risveglia dall'incubo. Finalmente si muove, reagisce al fatalistico abbandono cui ha ceduto sinora, resiste alla corrente che stava portandola via, nessuno sa perché. Cosenz è un amico provato, capisce, si allontana. Enrichetta scrive meravigliandosi di aver «potuto pensare di amare un altro».
      La crisi è dunque superata? No, o almeno non del tutto. Tra la famiglia che la rivuole e Pisacane che non può prometterle se non la continuazione della vita errabonda menata fin qui (chiuse le porte di Napoli, chiuse nel resto d'Italia, nessun punto fermo negli altri Stati d'Europa; e la vita sempre eccitata e irrequieta del profugo) ella esita. Sentendo fino a qual punto il suo «naturale» s'irriti per l'instabilità e il provvisorio, condizioni nelle quali sembra invece che Pisacane trovi il suo miglior rendimento, le vien fatto finanche di dubitare del suo affetto per lui: lo ama davvero?


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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