Il brio, la prontezza, la versatilità degl'ingegni meridionali ad esempio (e solo di napoletani e siciliani ve n'erano presso che un migliaio) esercita senza dubbio la piú benefica influenza sul massiccio, grave, qualche volta un po' tardo temperamento dei pedemontani. La stampa di Torino, di Genova diventa in pochi anni, non senza merito loro, strumento agilissimo, vivace, battagliero di lotta politica; l'insegnamento superiore acquista in modernità e spregiudicatezza; la letteratura politica in profondità varietà e abbondanza. Talune nuove correnti ideali vengono addirittura importate e propagate per opera quasi esclusiva di emigrati, molti dei quali, viaggiando sovente e tenendo con l'estero assidua corrispondenza, contribuiscono a far del Piemonte, assai piú che non fosse, una provincia d'Europa.
Grandi vantaggi politici, poi: nessuno ignora oggi fino a qual punto gli statisti piemontesi — Cavour in ispecie(85) — si valessero della loro intrinsechezza con alcuni emigrati non soltanto per averne, in merito alle cose italiane, informazioni precise, spunti e suggerimenti, magari anche leali critiche; non soltanto per allacciare quei discreti rapporti con circoli fiorentini, romani, napoletani, che piú tardi si sarebbero rivelati d'inestimabile importanza; ma anche per usarli come ballons d'essai, lasciando stampare a loro, sul conto degli altri Stati italiani, certe cose che al Piemonte comodava fossero dette senza troppo rischio per sé. E finalmente non era merito in parte dei rifugiati politici se il Piemonte tra il '50 e il '59 diventò agli occhi d'Europa un modello di quel che avrebbe potuto essere e sarebbe stato bene che fosse l'Italia, una volta distrutte le anacronistiche sue divisioni?
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