Ma il gruppo repubblicano di Genova dava piú preoccupazioni che altro. È vero che senza quello e il suo continuo agitarsi sarebbe riuscito difficile persuadere l'incredula diplomazia che in tutt'Italia ribolliva un pericoloso scontento, in tutt'Italia, salvo, s'intende, in Piemonte; ma non osavano quegli scalmanati o molti tra loro sostenere l'identità sostanziale tra i vari governi italiani, ponendo nel mazzo, tra quelli che si sarebbero dovuti un dí rovesciare, anche il governo sardo, e non si credevan lecito di mescolarsi nella politica interna del regno, in combutta con gli oppositori d'estrema?
In questo ambiente, autunno del '50, capita Pisacane. Ex ufficiale nell'esercito sardo, dimissionario alla vigilia della guerra per passare alla difesa di Roma, intrinseco di Mazzini, braccio destro di Avezzana, repubblicano dichiarato, egli non è precisamente, in Genova, un ospite desiderato. E infatti l'autorità locale, alla di lui richiesta appoggiata da un ragguardevole cittadino per ottenere un permesso di soggiorno, risponde un «no» tondo, motivandolo col fatto che «la diplomazia dà avvisi di prossimi movimenti insurrezionali». «Che bestia!», commenta Pisacane, che di quel no s'infischia perché sa che con un po' d'accortezza e molta ostinazione potrà benissimo restarsene dov'è, piú o meno celatamente. Gli è che Pisacane non è venuto in Liguria unicamente per godersi le bellezze della riviera e le grazie della sua donna: anche di questo sono informate le autorità, bestie perciò fino ad un certo punto.
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