Forse fu anche Pisacane di quella congrega di giovani che — scriveva Macchi a Cattaneo il 13 maggio '52 — si radunavano «in certa casa tre volte la settimana» per far lettura della nuovamente uscita e ostica Filosofia della Rivoluzione del Ferrari, i piú colti ingegnandosi «di far comprendere i piú scabri insegnamenti anche ai meno esperti nelle filosofiche discipline».
Progrediva intanto, nella ritrovata serenità familiare, anche la stesura della Guerra combattuta. Il 23 gennaio del '51 Pisacane poteva spedire a Cattaneo parte del manoscritto, con preghiera di dargliene un giudizio. Il che Cattaneo fece sui primi d'aprile con assoluta franchezza; e Pisacane: «Vi sono gratissimo della marca d'amicizia che mi date, nell'avermi precisato dei fatti sul mio manoscritto; è questa una cosa che io desideravo moltissimo e che apprezzo immensamente»(93). Uguale favore gli fecero il Macchi e il Dall'Ongaro; Dall'Ongaro anzi riguardò tutto il lavoro dal lato stilistico, quello che era sempre stato il tallone d'Achille di Pisacane. Ultimo e cospicuo recensore il Mazzini, che pur lodando il «bel libro», non risparmiò censure e consigli di soppressioni e revisioni.
Si trattava adesso di trovar l'editore: ed era tutt'altro che facile per un'opera informata a principii repubblicani e antipiemontesi. A pubblicarla in Piemonte c'era il pericolo d'un sequestro, aggiunto a rinnovate persecuzioni pel suo autore; e questi preferiva evitarle. Ma le ricerche condotte a Lugano dagli amici di là restaron vane: il Daelli n'avea poca voglia.
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