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      Forse che il problema era proprio quello di stabilire se si dovesse mirare a repubblica o a monarchia, a federazione o a unità? No, si trattava di stabilire qualcosa d'importanza incomparabilmente maggiore: su quali interessi dovesse poggiare il nuovo edificio, su quali contributi s'avesse a contare per la sua costruzione, quali resistenze bisognasse prepararsi a travolgere. Il ragionamento di Pisacane si faceva qui stringente e inflessibile, per giungere a una conclusione d'uno sconcertante radicalismo. Si voleva proprio far l'Italia nazione? Sbaragliare per sempre le innumerevoli forze d'opposizione? Ebbene, occorreva perciò che la stragrande maggioranza degli italiani partecipasse davvero alla lotta; ma l'esperienza del '48-'49 insegnava che questo fenomeno non si sarebbe assolutamente verificato se il fin qui ristretto programma nazionale non si fosse arricchito di qualche grande idea-forza capace di scuoter le fibre delle masse proletarie, ed anzi impostato addirittura su di essa e in vista della sua realizzazione. Tale idea-forza non poteva essere ormai che la rivoluzione sociale; urgeva proclamarne la bellezza e l'utilità e dar opera per bandirla e promuoverla, non già come complemento della rivoluzione politica, sibbene come sua giustificazione e «spiegamento». Ci si persuadesse insomma che la rigenerazione d'Italia non si sarebbe verificata se non in quanto le abusate espressioni di giustizia, di libertà, d'autogoverno fossero venute finalmente a significare giustizia per tutti, libertà per tutti, autogoverno del popolo e non d'una minoranza privilegiata.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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