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      E infatti che mai poteva al «popolo» importare che in Lombardia ad esempio cessasse la dominazione austriaca se, sparita quella, ne principiasse un'altra, nazionale o no, a eternizzare la sua servitú?
      Era considerare il problema italiano sotto un punto di vista di stupefacente modernità. Si poteva non accettare l'ottimismo un po' superficiale del socialismo pisacaniano (si vedrà in seguito che non era soltanto suo), ci si poteva maravigliare che egli lo postulasse, almeno apparentemente, solo in funzione e in servizio della questione italiana, si potevano discutere e magari rifiutare molte sue valutazioni assiomatiche; avrebbe dovuto, comunque, riuscir difficile, dopo la pubblicazione del suo libro e di qualche altro che seguí dappresso, continuare in certe impostazioni confusionarie del nostro problema politico, volte a risuscitare tal quale l'equivoco quarantottista e con esso, seppur sotto altra forma, le amare sorprese del '49. Difficile? Ma non è forse eccezionale il caso, tra noi, che uno scritto politico, di qualsivoglia importanza, abbia esercitato un'effettiva influenza e lasciato un'impronta non cancellabile nella vita reale? I libri in Italia si leggono dagli studiosi e questi non contano nulla nel giuoco delle forze attive. La Guerra combattuta non sfuggí a questa sorte: chi l'ebbe tra mano prese infatti passione (s'è visto) ai pettegolezzi che ne derivarono, lodò piú o meno lo stile ecc. ecc.; ma le «proposte» fatte da Pisacane alla classe politica italiana, importanti e nuove, caddero miseramente nel vuoto.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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