Si provasse a dir loro che i benefici della grande operazione andrebbero divisi con i nullatenenti; che nel nuovo regime il troppo si falcidierebbe per sovvenire al poco; che alla divisione degli utili futuri delle aziende parteciperebbero anche gli operai; che le imposte sarebbero progressive sul reddito e magari una porzione cospicua dell'asse ereditario verrebbe confiscata a beneficio della collettività; si provasse a suscitare agitazioni nei nascenti centri operai o a metter su i contadini (figuriamoci poi a far propaganda seria di comunismo). Effetto immediato e sicuro, tanto piú generale quanto piú larga e fortunata si dimostrasse la seminagione del sonoro principio dell'uguaglianza sociale, sarebbe stata la contrazione del patriottismo borghese, l'affermarsi in sua vece di un diffuso conservatorismo attaccato alla salvaguardia dei regimi assolutisti, per principio e per intima necessità contrari a ogni esperienza di rinnovamento sociale. Pochi idealisti disinteressati (oppure politicanti spiantati, sicuri comunque di far fortuna nel nuovo regime) non sarebbero bastati allora davvero a vincere le innumeri forze che si opponevano al compimento della rivoluzione italiana. Quale, per contro, avrebbe potuto essere il contributo popolare? In verità, ipotetico alquanto e, nella migliore delle ipotesi, a ben remota scadenza (non bastarono trent'anni, dopo il '60, a far, non dirò del socialismo, ma del movimento operaio una cosa seria tra noi!) E poi in qual modo si sarebbe potuta svolgere una intensa propaganda sociale nelle masse, tale da trasformare la loro inerte disperazione in attività autoemancipatrice, durando i regimi antiliberali?
| |
|