Tutta suggestione di Francia, tutti riflessi degli esperimenti quarantotteschi al di là delle Alpi, tutta influenza dei socialisti stranieri amici dei democratici nostrani? No. Che la stampa piemontese calcasse le orme della maggior sorella oltremontana non è dubbio, cosí strette son sempre state ed erano anche allora le relazioni culturali tra le due vicine nazioni; che la rivoluzione parigina del '48 avesse esaltato e terrorizzato l'Europa intera, e quindi il piccolo Piemonte, è ugualmente sicuro. Ma non per questo si deve ritenere che il rigoglio di idee intorno al problema sociale e di esperienze pratiche nel campo della organizzazione del lavoro manifestatosi in Piemonte nel decennio anteriore al '60 sia nient'altro che frutto d'importazione. Questo bisogno, che appare quasi improvviso e come portato di subitanea esplosione negli uomini colti piemontesi dopo il '49, di rivedere le basi della società e negli operai di migliorare la propria sorte, non si è in realtà verificato d'un tratto, ma preesisteva da lungo tempo. Solo che non ebbe la possibilità di manifestarsi alla luce del sole, di svilupparsi e di lasciar traccia di sé nella stampa se non dopo la concessione dello Statuto, che garantiva la libertà di associazione, di riunione, di parola e di stampa; o meglio, se non dopo il '49, quando cioè, male o bene terminata la duplice guerra con le sue conseguenze inevitabili di limitazione della lotta e delle libertà politiche, al Piemonte fu dato finalmente applicare, e ai piemontesi godere, le benefiche concessioni dello Statuto.
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