Quando i giornali conservatori alludevano a questi moti e al rivelarsi di questi torbidi desideri, li battezzavano piuttosto comunisti che socialisti, e giustamente del resto ne additavano il carattere e i limiti in un diffuso risentimento contro le classi ricche e in una sommaria protesta contro l'ordinamento della proprietà. Moti di questo genere si verificarono in Toscana, in Lombardia, in Romagna nei primi mesi del '47, e non furon pochi tra i liberali quelli che, notandone la contemporaneità e il naturale effetto di stringere i timorosi ceti possidenti ai governi conservatori, vollero vedervi lo zampino, oltre che del partito retrivo, del suo grande ispiratore e sostegno: lo zampino dell'Austria(104).
Di socialismo, inteso generalmente nel senso di riforme sociali piú o meno radicali da ottenersi con mezzi legali, inserite nel quadro della auspicata generale riforma politica, cominciavano invece a discorrere gli uomini colti, le teste calde del partito avanzato. Carlo Marx, da Colonia, inneggiava ai principii professati dall'Alba di Firenze(105). Né l'Alba era sola a slanciarsi per quella via: allentata la stretta della censura, la parola magica — socialismo — e l'interesse non dirò predominante ma certo di primo piano — problema sociale — erano affiorati spontaneamente e automaticamente nella Toscana del '47, nell'identico modo che si sarebbe verificato nel Piemonte del '49. Chi voglia saperne di piú non ha che da sfogliare la Rivista di Firenze, il Popolano, l'Italia, il Conciliatore, il Nazionale, giornali e riviste che si stamparono in Firenze o Livorno nel corso del 1847.
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