Con l'anno successivo naturalmente la propaganda socialista andò intensificandosi in tutta Italia. Bagliori di comunismo si ebbero in Puglia nella prima metà del '48, quando — sancita la Costituzione — nella plebe rurale delle Due Sicilie si sparse la mirifica credenza che Costituzione significasse, su per giú, distribuzione delle terre ai lavoratori; e apostoli del comunismo si misero a girar le campagne, incitando i contadini a invader senz'altro demani e latifondi (terrore delle classi possidenti dalle cui stesse fila son pure usciti molti di coloro che hanno spinto alle riforme politiche; diffuse nostalgie di restaurazione del regime assolutista!) Dalla propaganda è breve il passo all'azione: in tutto il Regno si moltiplicarono gli episodi di occupazione di terre comunali(106). Nelle città, agitazioni consimili: a Napoli, ad esempio, mentre i fogli democratici profittavano della breve parentesi costituzionale per invocare e discutere ampie riforme sociali, i tipografi dichiaravan lo sciopero, i sarti organizzavano clamorose dimostrazioni di protesta contro il trattamento economico (aprile); a Cava e a Salerno si registravano movimenti fra i tessili.
A Roma e in provincia eran quotidiane, quasi, le dimostrazioni popolari contro la gente ricca.
A Firenze e in tutta la Toscana s'intensificavano le polemiche giornalistiche e le discussioni nei circoli politici intorno al problema sociale e al socialismo. Notoriamente mentiva il Guerrazzi quando, sia pure a fin di bene, dichiarava al Consiglio generale, il 14 ottobre, che «il popolo nostro ignora perfino i nomi di comunismo e di socialismo». A sbugiardarlo stavano le agitazioni dei facchini e tipografi verificatesi a Firenze proprio nel marzo e la grande dimostrazione dei disoccupati del luglio(107). Ma la menzogna non era sintomatica?
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