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      (119) «Non passa giorno — si legge nel numero del 29 gennaio '50 — senza che ci alletti l'occhio e l'orecchio qualche massima sociale» sospetta; o non s'intende dai democratici che «ai dí nostri l'attuazione di una tale idea (il socialismo cioè) avrebbe per inevitabile conseguenza il ritorno al principio del governo assoluto»? (8 febbraio). E il 12 marzo: «La parola socialismo... è una parola che scotta; poté essere innocente e nobile nel suo primitivo senso, ma i piccoli Considérant e Proudhon dei nostri dintorni, scherzando troppo sopra certe materie, finiranno per fare scoccare il grilletto di un'arma che poco conoscono». A giornaletti piemontesi di provincia che «fanno il Leroux ed il Proudhon del loro circondario» fa la predica il 20 d'aprile anche il Torelli (che ha preso a stampare nell'appendice del Risorgimento, sotto lo pseudonimo di Ciro D'Arco, una vivacissima serie di lettere sulla questione sociale), lamentando il progredire di certe tendenze «in un paese finora immune dalla tempesta socialista».
      Quali erano questi scapestrati fratelli minori del Risorgimento? Vediamone uno, Il Carroccio, di Casale, diretto dal Mellana. Discorre a tutto pasto di socialismo, è vero, e non nasconde la sua viva simpatia per esso, e spesso e volentieri riproduce articoli socialistoidi dalla stampa francese; giusto è osservare per altro che si trattava d'un socialismo all'acqua di rose, tutto riforme e progressive conquiste, niente miracoli, niente violenze. Che importa? Il 31 luglio '50 Il Carroccio vien sottoposto a processo, nientedimeno che sotto l'accusa di bandire le dottrine socialiste (nel caso, qual legge ne aveva mai proibito la diffusione?


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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